Nel mondo dell’Hi-Fi moderno capita spesso che qualcuno voglia “scaldare” un po’ il suono del proprio impianto, soprattutto se a stato solido. Altri, già dotati di apparecchi a valvole, cercano un modo per raffinarne ulteriormente la resa. La risposta più comune? Aggiungere un preamplificatore valvolare. Peccato che, nella maggior parte dei casi, questa soluzione non solo sia inutile, ma finisca per creare più problemi che benefici.
Sorgenti moderne e guadagno eccessivo
Le sorgenti odierne – lettori CD, DAC, streamer – forniscono già un livello di uscita abbondante, spesso superiore ai 2 volt RMS, più che sufficienti per pilotare direttamente un finale. Inserire un preamplificatore in questa catena significa quasi sempre aumentare inutilmente il guadagno globale del sistema. Questo comporta diversi problemi:
- Regolazione del volume difficile e troppo sensibile
- Squilibri tra i due canali dovuti ai normali potenziometri, spesso poco precisi ai bassi volumi
- Fruscii, ronzii e disturbi di fondo
- Necessità continua di “tube rolling” per cercare valvole meno rumorose, anche quando quelle già montate sono perfettamente funzionanti
Insomma, il tanto amato pre diventa un generatore di complicazioni. Ho visto innumerevoli casi di persone che si tormentavano per ronzii e fruscii inspiegabili, quando bastava semplicemente rimuovere il preamplificatore dalla catena per far sparire ogni problema. E a beneficiarne sono solo i soliti “guru” pronti a vendervi attenuatori a scatti in oro e diamanti o aggeggi magici per eliminare i disturbi.
L’equivoco dei buffer valvolari
L’alternativa più gettonata tra i prodotti cinesi a basso costo è il buffer valvolare: doppi triodi in configurazione di inseguitore catodico, quindi a retroazione totale, che non amplificano nulla e si limitano a “passare” il segnale… ma con una valvola accesa dentro, che fa tanto scena. Spesso alimentati a bassa tensione, questi circuiti non aggiungono un vero “suono valvolare”: al massimo introducono una misera opacità e un po’ di distorsione mal definita. Sono soluzioni semplici, ma fondamentalmente inutili che danno l’impressione di fare qualcosa ma in realtà fanno poco e niente.
La vera alternativa: i processori audio a valvole
Se vogliamo davvero aggiungere al nostro impianto il carattere delle valvole, serve un’altra strada: il processore audio a valvole.
Cos’è che rende “valvolare” il suono? Non basta che ci sia una valvola qualsiasi accesa nel telaio. Serve una valvola che amplifica davvero, che genera la corretta firma armonica, e soprattutto un trasformatore, componente fondamentale per arrotondare la risposta e regalare quella “apertura” tanto apprezzata nel suono valvolare.
Il binomio valvola + trasformatore è ciò che dà davvero vita al suono caldo e tridimensionale che molti cercano. E c’è di più: grazie al trasformatore, è possibile riabbassare il livello del segnale in uscita fino al livello originario, evitando così l’inutile incremento di guadagno tipico dei preamplificatori tradizionali.
Quello che otteniamo non è un preamplificatore, non è un buffer, ma un vero processore di segnale in classe A, capace di imprimere al suono la firma delle valvole – completa, elegante e armonica – senza retroazione totale, senza guadagni eccessivi e senza complicazioni inutili.
Ma come tutte le cose belle, anche questa ha un prezzo. Un vero processore audio a valvole non è una semplice valvola messa lì, alimentata alla buona, dove il segnale entra e il segnale esce. No: servono almeno due trasformatori d’uscita ben progettati, e una costruzione attenta per evitare che questi captino rumori a 50 Hz o altri disturbi ambientali. Serve alimentazione seria, schermatura, layout curato. È una soluzione che, sì, ha un costo più elevato, ma è anche l’unica in grado di restituire davvero il suono valvolare autentico, quello che valorizza l’impianto senza comprometterne la dinamica o introdurre problemi.
Dimostrazione tecnica
Qui sotto potete vedere una simulazione LTSpice che illustrano in dettaglio il concetto: come una semplice valvola in configurazione amplificatrice, accoppiata a un trasformatore ben progettato, possa modellare il contenuto armonico del segnale in modo elegante e musicale, senza stravolgere il livello di uscita né introdurre disturbi.
Nella schermata qui sotto è mostrato lo stadio di un processore audio a valvole basato sulla VT-33 collegata a triodo, lo stesso schema alla base del progetto Baryon Omega. Il funzionamento del circuito è semplice ma efficace: il segnale entra sulla griglia della VT-33, viene amplificato e trasferito al trasformatore di uscita, che presenta un primario da 8500 ohm e un secondario da 820 ohm. In verde è visibile il segnale in ingresso, in blu quello in uscita – appena più ampio, ma già arricchito dalla seconda armonica e da una terza armonica appena accennata, come evidenziato nella schermata successiva.
Questa tecnica è applicabile a molte valvole, a patto che non abbiano una resistenza interna troppo elevata, condizione che renderebbe complicata – o addirittura impraticabile – la realizzazione di un trasformatore interstadio adatto. Sul sito sono già presenti due progetti di processori audio valvolari pronti all’uso:
- il Neutrino, basato su valvole 6SN7 / 6J5 e tutte le loro equivalenti,
- e il Baryon Omega, costruito attorno alla VT-33 collegata a triodo.
Chi fosse interessato a realizzare un proprio processore personalizzato, oppure desiderasse trasformatori ad hoc per una valvola specifica, può contattarmi direttamente: valuteremo insieme la soluzione migliore per integrare il vero suono valvolare nel proprio impianto.