L’oscuro mondo degli amplificatori valvolari mal costruiti

Guida pratica tra falsi miti, rischi di sicurezza e segnali d’allarme, con casi reali dal banco SB-LAB.

Nel mondo dell’Hi-Fi valvolare non è raro imbattersi in apparecchi che, dietro un aspetto seducente, nascondono difetti gravi. Ci sono gli accrocchi “cantinari”, frutto di improvvisazione e materiali scadenti, ma anche amplificatori hi-end dal prezzo stellare che, pur costando come un’auto, sono cablati e progettati con la stessa sciatteria.

A complicare il quadro, si aggiungono gli apparecchi pesantemente modificati da mani inesperte: interventi che promettono miracoli sonori e invece peggiorano prestazioni, sicurezza e affidabilità. Questa guida raccoglie casi reali che mi sono passati sul banco SB-LAB, smonta i miti più diffusi e fornisce criteri concreti per distinguere un valvolare costruito a regola d’arte da un semplice “bel vestito” pieno di rischi nascosti.

Anche se spendete tanto potreste rimanere fregati

Il prezzo non è una garanzia di qualità. Nel mondo dell’Hi-Fi valvolare esistono marchi che si presentano come “hi-end” e che propongono prodotti dal costo di diversi stipendi, accompagnati da recensioni entusiastiche su riviste specializzate. Tuttavia, dietro l’immagine patinata, può celarsi una realtà molto diversa.

Un caso esaminato nel mio laboratorio lo dimostra: un amplificatore di fascia altissima, acquistato nuovo da un cliente, presentava difetti costruttivi e funzionali sorprendenti per la fascia di prezzo. Tra le anomalie riscontrate:

  • Trasformatore di alimentazione rumoroso e con isolamento insufficiente.
  • Zoccoli valvolari ballerini, incapaci di mantenere le valvole ben salde.
  • Diafonia tra ingressi: passando da un canale all’altro restava udibile il segnale precedente, segno di commutazione e schermatura inadeguate.
  • Cablaggio interno disordinato, con componenti incollati anziché fissati meccanicamente e grovigli di cavi non schermati.
  • Componentistica sottodimensionata: interruttore di accensione economico, induttanza della cella CLC priva di traferro, potenziale causa di saturazione, componenti dozzinali.

La costruzione complessiva tradiva scelte economiche incompatibili con un prodotto di lusso: lamiera di fondo non lavorata professionalmente, schede elettroniche “di catalogo” incollate, collegamenti di rete realizzati senza la necessaria cura.

Il cliente aveva chiesto una revisione completa per risolvere ronzio, diafonia e fissaggio delle valvole, ma la somma di carenze progettuali e costruttive ha reso evidente che l’intervento non avrebbe potuto trasformare l’apparecchio in qualcosa di realmente affidabile: in casi simili la soluzione più sensata resta spesso la demolizione e il recupero delle sole parti riutilizzabili.

Questo episodio ricorda che il marchio e il prezzo non bastano a garantire qualità, sicurezza o prestazioni sonore. Una campagna di marketing aggressiva o recensioni entusiaste possono creare un’aura ingannevole, soprattutto quando i costruttori investono più in pubblicità che in progettazione e controllo. Prima di un acquisto importante è quindi essenziale:

  • Valutare le immagini interne (cablaggio, fissaggi, schermature) oltre a quelle esterne.
  • Verificare dati oggettivi come isolamento, banda passante dei trasformatori e qualità dei componenti.
  • Diffidare di slogan come zero feedback o cablaggio in aria se non accompagnati da misure concrete e non di parte.

Pagare molto non significa automaticamente comprare il meglio: un progetto serio e una costruzione impeccabile contano più del nome o del prezzo in etichetta.


“Chi poco spende butta i suoi soldi…”

Nel mondo dell’Hi-Fi valvolare convivono grandi marchi, piccoli produttori, appassionati autocostruttori e chi si improvvisa costruttore. In questo scenario, chi desidera un amplificatore a valvole si trova di fronte a molte scelte e, talvolta, a clamorosi abbagli. Non si tratta di stabilire cosa “suoni bene o male” – questione spesso soggettiva – ma di distinguere in modo chiaro ciò che è costruito in maniera tecnicamente accettabile da ciò che non lo è, analizzando le motivazioni che portano a errori di valutazione.

Primo caso: un 300B anonimo, proposto come prestigioso “dual mono” in un unico telaio, con due alimentazioni separate, attenuatore a scatti e condensatori carta-olio – caratteristiche che, sulla carta, promettevano un suono eccellente. È stato venduto per 700 €, ma il proprietario lamentava un suono debole e poco brillante, con fruscii su un canale. All’apertura, la realtà era ben diversa: piastra fissata con velcro (VELCRO !!!), cablaggio disordinato, condensatori ad alta tensione isolati solo con un nastro, altri appesi a fili nudi e colla a caldo. Durante il trasporto i trasformatori si erano quasi staccati, fissati com’erano a semplice compensato con viti sottodimensionate. I trasformatori d’uscita, nonostante le etichette ottimistiche (30 Hz–30 kHz), mostravano una banda passante reale ferma a circa 15 kHz (-3 dB). In sostanza: 40 kg di materiale poco riutilizzabile e nessun reale valore musicale.

Un secondo esempio riguarda un altro 300B, questa volta in configurazione push-pull, venduto per 800 €. Pur cablato leggermente meglio, presentava difetti gravi: un condensatore ad alta tensione fissato solo con colla a caldo si era staccato provocando scariche, e un fastidioso “hum” persisteva anche dopo interventi di emergenza. Indagando, ho scoperto che i trasformatori d’uscita pubblicizzati come artigianali erano in realtà trasformatori di nuova elettronica per EL34 nascosti in gusci metallici e sigillati con silicone, con prestazioni da apparecchio di fortuna.

In più punti di questi apparecchi si notavano soluzioni tecniche scorrette, come collegamenti lasciati flottanti e sezioni di avvolgimento inutilizzate, con conseguente degrado della resa sonora e potenziali rischi di affidabilità.

Questi episodi mostrano che l’errore non è solo di chi assembla: anche chi compra, spinto da luoghi comuni (“la 300B suona sempre meglio”, “la valvola X ha il basso perfetto”), può cadere in trappole costose. In realtà non si ascolta mai “una valvola” isolata: il risultato dipende da schema, trasformatori, componenti e messa a punto complessiva. Con progetti equivalenti e ben eseguiti, le differenze fra valvole si riducono a sfumature di gusto.

Alcune valvole, come la 300B, richiedono peraltro maggiori competenze e materiali per dare il meglio: alimentazione in continua dei filamenti, driver capaci di ampi swing di tensione, trasformatori di qualità superiore. Di conseguenza, due apparecchi equivalenti per potenza e risultato sonoro possono avere costi molto diversi a seconda della valvola impiegata.

Molti costruttori poco seri puntano invece su dettagli appariscenti ma marginali – condensatori carta-olio costosissimi, morsetti dorati, saldature in argento – mentre trascurano aspetti cruciali come cablaggio, schermature, percorsi di massa e dimensionamento dei trasformatori.

Il risultato è che, seguendo certe mode, si può finire per acquistare apparecchi che suonano peggio di quanto promettono, o che presentano criticità di sicurezza. Non basta una bella valvola per garantire qualità: serve un progetto solido e una costruzione impeccabile.

In conclusione, un amplificatore valvolare costruito correttamente ha inevitabilmente un costo adeguato. Con budget limitato, è meglio scegliere valvole meno impegnative ma un progetto ben eseguito, piuttosto che cedere a prodotti dall’aspetto lussuoso ma realizzati in modo approssimativo. In caso contrario, il rischio è di ritrovarsi con un oggetto costoso che offre poco più di una bella vetrina.


Il caso: Gamma Acoustic Space Reference – Attenzione ai “devastati”

Quando un “upgrade” diventa un disastro

I cosiddetti devastati: amplificatori nati da marchi reali, spesso validi in origine, poi modificati pesantemente e rivenduti come “upgrade”, quando in realtà sono stati devastati nelle scelte circuitali, nella sicurezza e talvolta anche nell’affidabilità.

I devastati sono particolarmente insidiosi sul mercato dell’usato: l’annuncio può farli apparire come elettroniche commerciali “normali”, magari con qualche miglioria, ma all’interno nascondono interventi arbitrari che alterano progetto, prestazioni e sicurezza. Il tono è volutamente ironico, ma il problema è serio: interventi non verificati possono trasformare un apparecchio sano in un devastato. Come riconoscere un devastato quando valutate un usato? Nelle inserzioni online può sembrare tutto regolare…

…ma sotto il coperchio possono nascondersi modifiche arbitrarie presentate come “upgrade”. Il rischio concreto è pagare un usato a prezzo pieno e dover poi investire molto di più per riportarlo alle condizioni originali. Prima di acquistare chiedete sempre: stato di originalità, dettaglio delle modifiche, foto interne. Valutate con un tecnico qualificato se l’apparecchio sia stato devastato e se il ripristino abbia senso tecnico ed economico.

Esempio reale: l’apparecchio arrivato in laboratorio “suonava bene” secondo il venditore, ma le misure di base raccontavano altro: canali sbilanciati (circa 9 W RMS vs 6 W RMS), differenza di livello di ~2 dB e rumorosità evidente. In ascolto, la resa era scadente. È emersa anche un’innescata a radiofrequenza attorno a 2,45 MHz, sintomo di stabilità compromessa da scelte circuitali discutibili.

All’apertura si riscontravano interventi non documentati: componenti incollati, percorsi di segnale tortuosi, aggiunte “magiche” prive di funzione tecnica, cablaggi dei filamenti sottodimensionati, condensatori e ponti in posizioni inusuali o a rischio.

Esempi tipici di devastazione: rivestimenti interni incollati che intralciano dissipazione e manutenzione; elementi “ornamentali” privi di funzione elettrica; cablaggi sospesi o non fissati; aggiunte “quantistiche” prive di riscontri tecnici. Tutto ciò non migliora il suono: introduce rischi e instabilità.

Cablaggi sottili dove scorrono correnti elevate e “mummie” di isolante: altri segnali tipici di devastato.

“Soluzioni distensive”: accessori e materiali non tecnici non migliorano il suono.

Esempi di scelte a rischio: condensatori e cablaggi tra masse ravvicinate senza criterio di ritorni e percorsi di corrente.

Anche le alimentazioni mostrano talvolta soluzioni improprie (diodi + valvola usata come semplice resistenza in una CRC mascherata), scelte che non portano benefici misurabili e complicano affidabilità e manutenzione.

Componenti danneggiati: altri campanelli d’allarme.

In casi del genere il ripristino richiede tempo: ricostruzione dello schema, distinzione fra parti originali e interventi successivi, pulizia, rifissaggio meccanico, sostituzione di prese e boccole danneggiate, riprogettazione della sezione di alimentazione con valori e topologia adeguati al carico reale. (Nella foto un ponte di diodi perforato volutamente con il trapano, il motivo nessuno lo sà, e ovviamente non c’è nessun motivo sensato per fare una cosa del genere).

La prima cosa che ho fatto…

Il lavoro è consistito nel ripristino funzionale e di sicurezza: revisione della topologia di alimentazione, dimensionamento corretto di induttanze e condensatori, gestione dei percorsi di massa, fissaggi meccanici, sostituzione di prese, morsetti e controlli frontali danneggiati. Dove necessario, sono stati impiegati componenti NOS di qualità (ad es. polistirene) in luogo di elementi impropri o mal fissati.


Apparecchiature audio fantascientifiche e paranormali

Presentiamo l’Amplificatore Meta-Analogico Quantico a Risonanza Epigenetica: fine dell’era dei numeri, inizio dell’Armonia Totale.

Solo trasformatori a risonanza fisico-metaforica (chilometri di filo avvolti su nucleo diamagnetico), nessun componente attivo, nessun componente passivo: il suono si auto-organizza. Post-acceleratore delta quantico per allineare digitale e analogico; stabilizzatore epigenetico che “educa” la corrente senza toccarla. Notch cosmico e risposta “oltre l’udibile”: le pareti scompaiono. Puff!

Nota: trafiletto satirico, ogni riferimento è arbitrario e puramente casuale.

Quasi sempre sono sceneggiature per vendere scatole costose. Niente nomi: vale per chiunque usi misticismo (quantico, epigenetico & co.) al posto di progetto.

Regola pratica (brevissima):

  • Se mancano schema, misure ripetibili e foto interne, sono cose campate in aria, lascia stare.
  • Se parlano di “energie quantiche/epigenetiche”, lascia stare.
  • Se promettono miracoli “senza componenti” o con oggetti “magici”, lascia stare.

Meglio un ampli normale ma ben progettato e misurato di un talismano da salotto.

Chiusura: e se ho già comprato un “impresentabile”?

Capita. E sì, brucia. Ma non peggiorare il danno: non cercare di rivendere la fregatura ad altri. Così si alimenta l’idea che nell’Hi-Fi ci siano solo bidoni. Meglio fermarsi qui e rimettere in sesto la situazione in modo pulito.

Cosa puoi fare (pratico e breve):

  1. Perizia lampo: fatti fare un preventivo serio di ripristino. Se il costo supera ½ del valore di un apparecchio onesto, non conviene.
  2. Demolizione selettiva: recupera ciò che ha senso (valvole, zoccoli buoni, manopole, induttanze; trasformatori solo se realmente validi; chassis se robusto). Il resto è riciclo.
  3. Riparti da basi sane: meglio un progetto semplice ma corretto che un “accrocchio” rifatto tre volte. Valuta un apparecchio economico da ottimizzare con un tecnico capace o, se il budget è strettissimo, un piccolo t-amp: non è a valvole, ma suonerà più pulito di tanta fuffa.
  4. Impara il filtro anti-bufala: foto interne, misure credibili, costruzione solida > slogan e luccichii.

Servizio di Rottamazione:

Con il servizio di rottamazione SB-LAB valutiamo l’apparecchio, recuperiamo solo le parti sane (se ha senso) e ti proponiamo un percorso pulito: ripristino serio oppure credito su un progetto affidabile. Scopri modalità, tempi e cosa serve per la valutazione sulla pagina Rottamazione.

Risposte veloci

  • Voglio spendere pochissimo ma avere un valvolare “vero”: tieni i soldi. Rischi solo di buttarli.
  • Budget ~1000€: evita le “regine” costose (2A3, 300B, 845, 211) e gli apparecchi iper-potenti. Cerca 10–15 W ben progettati, cablaggio ordinato, trasformatori seri; lascia perdere attenuatori esoterici e saldature d’argento come criterio.
  • Voglio proprio una 2A3/300B/845/211 “come si deve”: si può, ma non sotto i 1000€ (spesso ben oltre), altrimenti è compromesso pesante.

Morale: Un amplificatore ben costruito, con trasformatori decenti, anche con la più umile valvola da TV, suonerà meglio di un apparecchio mal fatto pieno di nomi altisonanti. Punto. E niente “scaricabarile”: la qualità si difende anche con l’etica.

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Il Grande Mito Sfatato: perché l’Ultralineare nei Single-Ended è un errore

Nuovo finale single-ended Valvolone Sbrillu-UL – la magia del triodo, la grinta del pentodo

Quando il puro piacere d’ascolto incontra la genialità tutta “artigianale”, nasce Valvolone Sbrillu-UL, l’amplificatore valvolare single-ended in pura classe A che promette di trasformare ogni nota in emozione. Grazie all’esclusiva connessione ultralineare – quell’equilibrio “mistico” tra setosità triodo e muscoli pentodo – Sbrillu-UL eroga fino a una quindicina, ma che dico 4 o massimo 5 watt scintillanti per canale, pronti a riempire la stanza di calore sonoro.

Le valvole preferite? EL34, KT88, 6550… scegli tu! Con un semplice gesto passi da triodo vellutato a ultralineare ruggente, senza cacciaviti né complicazioni. Il tutto racchiuso in un elegante chassis nero opaco gourmet con VU-meter ammiccanti, perché anche l’occhio vuole la sua parte.

Perché Sbrillu-UL

  • Single-Ended Purissima Classe A: la ricetta classica del coinvolgimento.
  • Ultralineare “sweet spot”: dettaglio da triodo, spinta da pentodo.
  • No-stress rolling: compatibile con le grandi valvole iconiche.
  • Soundstage avvolgente: presenza, profondità, aria tra gli strumenti.

Metti in play la tua musica e lasciati conquistare da un suono che il marketing definirebbe “più puro del puro”, mentre gli amici ti chiederanno soltanto: “Dov’è il palco?”

Negli ultimi tempi mi capita sempre più spesso di ricevere domande e richieste di pareri su schemi trovati in rete che qualcuno vorrebbe replicare.

Prima, però, una premessa ironica: l’apertura un po’ scherzosa dell’articolo prende bonariamente in giro certo marketing dell’audio che ama parlare di “watt musicali”, spesso il doppio di quelli reali, un’unità di misura inventata più per colpire l’immaginazione che per descrivere la realtà elettrica.

Chiarito che la battuta iniziale è solo un modo divertente per rompere il ghiaccio, veniamo al punto. L’articolo che segue non vuole essere partigiano né polemico, ma si propone di dimostrare, con dati e spiegazioni verificabili, una realtà tecnica ben definita.

Da tempo mi ero ripromesso di affrontare questo tema perché vedo ripetersi lo stesso problema: in diversi progetti che circolano online spunta la famosa “connessione ultralineare” applicata a stadi single-ended. La mia risposta, immancabilmente, è sempre la stessa: lascia perdere. In un single-ended l’ultralineare non funziona; ha senso solo optare per un’uscita a triodo oppure a pentodo.

Quando affermo che la connessione ultralineare in un single-ended “non funziona”, non intendo che l’amplificatore esploderà, non emetterà suono o suonerà in modo disastrosamente distorto. Intendo che si è scelto un’impostazione concettualmente inadatta: l’apparecchio suonerà, sì, ma in modo subottimale, senza reali vantaggi e con il rischio di introdurre ulteriori criticità. Per questo invito a leggere con attenzione le osservazioni che seguono: chiariscono il perché tecnico della mia posizione ed evitano fraintendimenti nei commenti.

Quello dell’ultralineare in single-ended è un errore clamoroso, eppure è stato copiato e diffuso in tutto il mondo audiofilo – persino da marchi blasonati – senza che nessuno si prendesse la briga di verificarne davvero il funzionamento.

La comunità degli autocostruttori e degli audiofili continua a considerarlo un collegamento valido tanto per i push-pull quanto per i single-ended, come se il nome stesso fosse una garanzia: “Ultra-Lineare”! Non solo lineare… ultra. Un richiamo efficace dal punto di vista psicologico e commerciale, ma del tutto ingannevole sul piano tecnico.

Cos’è la connessione Ultra Lineare

La connessione ultralineare è una configurazione possibile solo con valvole a pentodo, nella quale la griglia schermo viene collegata a una presa intermedia del trasformatore di uscita. In questo modo la tensione della griglia schermo non rimane fissa, ma segue parzialmente le variazioni della tensione di placca.

Il risultato è un funzionamento che combina l’elevato rendimento tipico del pentodo con la linearità del triodo, offrendo un comportamento intermedio tra le due modalità. Questa soluzione, ideata da Alan Blumlein, nasceva proprio per sfruttare i vantaggi di entrambe le tipologie di valvole e trova la sua naturale applicazione negli stadi finali push-pull, dove permette di massimizzare le prestazioni complessive.

Vantaggi della connessione ultralineare

Regolando con precisione la percentuale di derivazione della griglia schermo è possibile ottenere un equilibrio ideale tra le caratteristiche di triodo e pentodo. In un intervallo piuttosto ristretto di valori, la distorsione può scendere a livelli insolitamente bassi – talvolta inferiori a quelli ottenibili in puro triodo o in puro pentodo – mentre l’efficienza energetica resta solo leggermente inferiore a quella della configurazione pentodo completa.

La percentuale di derivazione ottimale dipende principalmente dal tipo di valvola. Per le KT88, ad esempio, il valore comunemente considerato ottimale è il 43% del numero di spire primarie del trasformatore sul circuito dell’anodo; per le 6V6GT è stato spesso raccomandato il 20%. Circuiti Mullard hanno fatto largo uso del 20% di carico distribuito, mentre alcuni amplificatori LEAK si spingevano fino al 50%.

Le caratteristiche che rendono il carico distribuito particolarmente adatto agli amplificatori audio di potenza – rispetto a soluzioni basate su triodo, tetrodo a fascio o pentodo puro – possono essere così riassunte:

  1. L’impedenza di uscita viene abbassata a circa la metà di quella ottenuta con un pentodo.
  2. La distorsione viene abbassata per avvicinarsi a quella ottenuta con una valvola triodo, ma può essere ancora inferiore nell’operazione ultralineare.
  3. La potenza in uscita è superiore rispetto a quella di un triodo, avvicinandosi a quella fornita da un pentodo.
  4. La potenza in uscita è più costante, poiché il carico distribuito è una combinazione di un amplificatore di transconduttanza e di un amplificatore di tensione.

Alan Blumlein concepì e applicò la connessione ultralineare esclusivamente in circuitazioni push-pull, e la stessa scelta fu seguita da tutti i grandi costruttori dell’epoca. Non esistono esempi storici di amplificatori single-ended con collegamento ultralineare: si tratta di un’idea comparsa solo in tempi recenti. Vediamo perché! Qui sotto lo schema di un’amplificatore Single Ended Ultralineare realizzato da un cliente SB-LAB apparso in questo articolo (clicca). Come si può vedere la griglia schermo è collegata ad una presa intermedia del trasformatore di uscita.

Desidero richiamare l’attenzione sul valore della resistenza posta sotto il catodo della KT88 nello schema, indicata in 360 ohm. Riporto le parole di un cliente che ha realizzato questo circuito:

«Se può aggiungere una sua nota per non farsi influenzare dalla resistenza da 360 ohm: io l’ho sostituita con un valore misurato di circa 190 ohm, dopo vari tentativi, perché non tornava la giusta corrente di bias».

Questo è un dettaglio fondamentale: memorizzatelo. Il fatto stesso che sia necessario dimezzare il valore della resistenza evidenzia una svista di fondo. Questo rappresenta un forte indizio che lo schema pubblicato non sia stato verificato sperimentalmente nelle condizioni indicate: in caso contrario la discrepanza nella polarizzazione della valvola finale sarebbe emersa.

Eppure questo schema circola su Internet da decenni, replicato e osannato, senza che quasi nessuno abbia mai indagato le ragioni della discrepanza di bias. Molti probabilmente non se ne sono nemmeno accorti, ascoltando felici una distorsione che ritenevano “suono giusto”.

Chi possiede una minima competenza nella progettazione e sa leggere le curve caratteristiche di una valvola – triodo o pentodo che sia – conosce bene la prassi: si sceglie un punto di lavoro tensione/corrente all’interno dei limiti di dissipazione, quindi si traccia la retta di carico in funzione dell’impedenza del trasformatore d’uscita.

Ma con una valvola collegata in modalità ultralineare non è possibile selezionare liberamente il punto di lavoro: il comportamento è vincolato dalla caratteristica della griglia schermo. Ogni variazione della tensione di polarizzazione altera in modo significativo l’intero fascio di curve caratteristiche. Per rendere più chiaro questo concetto possiamo fare riferimento alle curve riportate nel datasheet della KT88 Genalex (clic per ingrandire):

Comincio sottolineando che, nel datasheet della KT88, l’impiego della modalità ultralineare è descritto solo in configurazioni push-pull. All’epoca, infatti, non suscitava alcun interesse l’idea di applicarla a un amplificatore single-ended. Eppure è facile immaginare il ragionamento di un progettista poco accorto:

“L’impedenza tipica per una KT88 in single-ended è di 2500 ohm. A occhio posso fissare una tensione di 250 V con 120 mA di bias e una tensione di griglia intorno a -32 V…”

Un calcolo frettoloso di questo tipo porta a tracciare una retta di carico che, a prima vista, può sembrare corretta, come si vede nel grafico seguente:

Per evitare prove fisiche in laboratorio, possiamo ricorrere a LTSpice per simulare la polarizzazione di una KT88 in questa configurazione (primario da 2,5 kohm, secondario da 8 ohm, collegamento ultralineare al 50%). Il modello della KT88 impiegato è quello sviluppato da Norman Koren, riconosciuto per la sua elevata accuratezza: i risultati ottenuti in simulazione sono sovrapponibili a quelli che si avrebbero con una valvola reale. In teoria, ci aspetteremmo di misurare una corrente di circa 120 mA sul catodo…

Ecco il risultato della simulazione: la corrente di bias è di soli 24 mA! A questo punto chiunque abbia un minimo di esperienza (gli autocostruttori hobbisti possono essere perdonati, ma chi si definisce progettista dovrebbe accorgersene) dovrebbe porsi una domanda fondamentale:

“Perché le curve caratteristiche indicano una corrente di circa 120 mA, mentre in pratica ne ottengo appena 24?”

Una piccola discrepanza, dovuta alle tolleranze delle valvole, è normale e si compensa regolando leggermente il bias. Ma qui non si parla di qualche milliampere: passare da 120 mA a 24 mA è un divario enorme, che dovrebbe far dubitare seriamente della correttezza della teoria utilizzata per determinare la polarizzazione.

Eppure, nella maggior parte dei casi, questo campanello d’allarme viene ignorato. Si continua a “tirare” la regolazione del bias per forzare la corrente della valvola, senza chiedersi il perché del problema. Proviamo a dare un segnale chiaro…

Il circuito ora sembra funzionare, ma l’oscilloscopio racconta un’altra storia: la forma d’onda risulta fortemente distorta (in blu il segnale d’ingresso, in verde quello d’uscita). A questo punto sorge spontanea una domanda:

Perché, in un amplificatore single-ended in modalità ultralineare, la corrente di bias e l’impedenza del trasformatore non corrispondono alle previsioni?

Per trovare la risposta, è necessario analizzare con più attenzione le curve caratteristiche riportate nel datasheet

Avete notato la linea tratteggiata con l’indicazione Va,g2(o) = 425 V Prima di proseguire, vale la pena fare un breve ripasso sul funzionamento delle valvole, sia triodi che pentodi, concentrandoci in particolare sulla loro struttura interna. Cominciamo dal triodo: è costituito da una sola griglia e da una piastra (anodo) sottilissima, quasi “a toast”, posta molto vicino al catodo.

Passiamo ora a osservare un tetrodo o un pentodo, che al loro interno ospitano due o tre griglie. Nel caso del tetrodo a fascio, la terza “griglia” è in realtà formata da due sottili lamelle metalliche, ma in questo articolo non ci soffermeremo su questo dettaglio. Ciò che conta davvero notare è che, a differenza del triodo, la piastra (anodo) si trova a una distanza decisamente maggiore dal catodo.

Nei triodi, il campo elettrico generato dalla placca (anodo) agisce direttamente sugli elettroni, attirandoli, mentre la griglia di controllo (G1), mantenuta a potenziale negativo, ne frena e regola il flusso. Nei tetrodi o pentodi, invece, la placca è troppo distante dal catodo per attrarre da sola gli elettroni (o lo farebbe solo debolmente). In questi dispositivi interviene la griglia schermo (G2), posta subito dopo G1 e polarizzata positivamente: essa accelera gli elettroni verso l’anodo.

Poiché G2 è costituita da sottilissimi fili, la maggior parte degli elettroni non vi si deposita; anzi, grazie alla velocità acquisita – in una sorta di “effetto fionda” – prosegue oltre, fino a raggiungere il campo elettrico dell’anodo, che li cattura definitivamente. È quindi evidente che, in un pentodo, la corrente anodica non dipende solo dalla tensione negativa di G1, ma anche dalla tensione positiva applicata a G2.

Nella connessione ultralineare, a riposo la tensione applicata alla griglia schermo (G2) è pressoché identica a quella della placca, poiché la resistenza interna dell’avvolgimento del trasformatore è praticamente trascurabile. Di conseguenza, ogni variazione della tensione di placca provoca una variazione altrettanto significativa della corrente che attraversa la valvola: la tensione su G2 segue inevitabilmente quella di placca. Per questo motivo, in configurazione ultralineare possiamo parlare di curve “dinamiche”, mentre nei triodi e nei pentodi collegati come pentodi le curve restano sostanzialmente “statiche”.

Le linee tratteggiate nel datasheet Genalex citato in precedenza indicano, in sostanza, che il punto di lavoro può essere collocato a qualsiasi corrente, ma deve rimanere sopra quella linea, ossia a 425 volt! Se si modifica la tensione del punto di lavoro, le curve riportate nel datasheet non sono più valide e cambiano completamente!

Analizziamo questo fenomeno con l’aiuto di uTracer, che può essere configurato per acquisire anche curve in modalità ultralineare. Tuttavia, per i motivi già menzionati (e a causa di una mancata implementazione software), uTracer acquisisce curve dinamiche solo al di sotto della tensione specificata (quella delle linee tratteggiate di Genalex).

Per illustrare meglio il comportamento delle curve dinamiche, ho quindi evidenziato con un pallino nero un punto intermedio corrispondente a 300 volt, con la griglia di controllo G1 polarizzata a –25 volt.

Con una tensione di “stop” a 400 volt abbiamo 80mA a 200volt con G1 a -25…

Se portiamo la tensione di “stop” a 300volt la corrente misurata sempre sui 200volt con -25 di G1 scende a un pò meno di 40mA

Se poi abbassiamo ulteriormente la tensione di “stop” a 250volt ci ritroviamo una corrente inferiore ai 20mA

Si può inoltre osservare che, man mano che la tensione di “stop” diminuisce, la capacità di erogazione di corrente della valvola cala sensibilmente, mentre la resistenza interna aumenta, come evidenziato dalla minore pendenza delle curve. Questo significa che la valvola è molto meno capace di fornire corrente – e quindi potenza – rispetto alle condizioni ottimali. Per esempio, con una tensione di stop di 400 V la KT88 può raggiungere un picco di circa 170 mA a 50 V; con una tensione di stop ridotta a 250 V, il picco scende a circa 60 mA.

Come se non bastasse, la variazione della pendenza delle curve impone anche una modifica dell’impedenza del trasformatore, per evitare forti distorsioni. La potenza effettivamente erogata all’altoparlante risulta quasi identica – o solo lievemente superiore – a quella ottenibile con una connessione a triodo puro. Tuttavia, in modalità triodo la valvola lavora in modo decisamente più lineare. In definitiva, se non si desidera impiegare la valvola in modalità pentodo puro, la scelta più sensata è utilizzarla direttamente a triodo, senza neppure prendere in considerazione l’opzione ultralineare: in un single-ended, infatti, quest’ultima finisce quasi per sembrare un espediente per aggiungere distorsione.

È fondamentale precisare che queste considerazioni valgono per il funzionamento in classe A (sia single-ended sia push-pull), dove la tensione del punto di lavoro non è elevata e le curve ultralineari alle varie tensioni non sono note. La connessione ultralineare fu invece concepita per l’impiego in push-pull in classe AB, condizione in cui la tensione a riposo è più alta. In questo contesto la valvola lavora correttamente e offre reali vantaggi in termini di riduzione della distorsione e, talvolta, anche di maggiore potenza erogata.

Per esempio, una coppia di KT88 può fornire in sicurezza circa 50 W in classe AB a pentodo; oltre tale soglia la griglia schermo (G2) tende ad arrossare, poiché la tensione di placca può scendere al di sotto di quella dello schermo, generando picchi di corrente sulla G2. Quando però le KT88 vengono collegate in modalità ultralineare, la corrente è meglio controllata e si possono ottenere senza problemi 70–75 W, senza fenomeni di arrossamento della G2.

Esaminiamo ora la retta di carico impostata con le seguenti condizioni operative: 425 V di tensione anodica, 75 mA di corrente, –50 V sulla griglia di controllo e un trasformatore con impedenza di 6k.

In questa simulazione si ottiene una corrente di 66 mA, un valore molto vicino a quello previsto (le piccole discrepanze sono imputabili al modello matematico impiegato). La corrente di bias torna quindi ai livelli attesi perché il punto di lavoro è stato scelto sulla linea tratteggiata del datasheet a 425 V. Questo risultato conferma pienamente la validità delle considerazioni esposte finora. A questo punto, vediamo come il circuito si comporta se pilotato con un segnale sinusoidale:

Ancora una volta il segnale in uscita rivela una forte distorsione, ben lontana dalle aspettative. Si nota chiaramente una semionda schiacciata: ma qual è la causa di questo problema? L’asimmetria delle curve ultralineari è sotto gli occhi di tutti: basta aprire le immagini e osservarle con attenzione. Sul lato sinistro del grafico, la distanza fra le curve è sensibilmente maggiore rispetto al lato destro. Ciò significa che, per qualunque ipotetico punto di lavoro X, una delle due semionde risulterà inevitabilmente più lunga, l’altra più corta. Questo fenomeno è intrinseco alla connessione ultralineare e spiega perché il circuito sia stato concepito per l’impiego push-pull, dove la valvola gemella – lavorando in fase opposta – annulla reciprocamente questa distorsione.

È possibile vedere il comportamento di un circuito reale in questo articolo, all’inizio del quale prendo in esame un amplificatore che utilizzava una KT88 in single ended UL su carico di 6k, di cui posto qui sotto la forma d’onda catturata (in giallo il segnale del generatore e in blu quello che esce dal circuito).

Come si può vedere, il comportamento reale conferma pienamente quanto emerso nelle simulazioni. Desidero inoltre mettere in evidenza alcuni altri aspetti che i miei esperimenti hanno portato alla luce:

  1. Una KT88 in configurazione single-ended ultralineare può erogare in pratica circa 6–6,5 watt, ma lo fa con una distorsione marcata. Per ottenere un suono pulito è quindi necessario applicare controreazione, a meno che non siate veri appassionati della distorsione.
  2. La KT88 a pentodo arriva a erogare 12watt con uso di controreazione.
  3. La KT88 connessa a triodo arriva a erogare circa 5 / 5,5watt a triodo con basse distorsioni.

La mia conclusione è chiara: se si lavora in single-ended con un pentodo, ha senso usarlo come pentodo per privilegiare la potenza, oppure collegarlo a triodo per privilegiare la linearità. La connessione ultralineare, in questo contesto, non offre alcun reale vantaggio: il guadagno di potenza rispetto al triodo è trascurabile, mentre la distorsione resta elevata e costringe a ricorrere alla controreazione. A quel punto è molto più logico scegliere un pentodo puro, che almeno eroga più watt, o un triodo puro, se l’obiettivo è la massima fedeltà. Personalmente considero l’ultralineare nei single-ended (soprattutto senza feedback) poco più che un espediente per introdurre distorsione.

Naturalmente questo giudizio riguarda solo i single-ended: in configurazione push-pull, al contrario, la connessione ultralineare porta effettivi e significativi vantaggi.

A questo proposito vale la pena segnalare una alternativa ben più efficace dell’ultralineare: la connessione Schadeode. Questa configurazione, adatta anche agli stadi single-ended, combina la piena potenza di un pentodo con la linearità tipica di un triodo. In più offre vantaggi notevoli, come un alto fattore di smorzamento e ridotte rotazioni di fase: esattamente quei punti in cui la connessione single-ended ultralineare fallisce clamorosamente.

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6 Responses to Il Grande Mito Sfatato: perché l’Ultralineare nei Single-Ended è un errore

  • Quelli di norman koren sono buoni, comunque i risulti sulla distorsione della KT88 SE+UL li ottieni tali e quali anche con una KT88 vera sul tavolaccio di prova o sui vari amplificatori pastrocchio che ho avuto in mano, autocostruiti dai clienti o venduti in giro dai vari cinesi o non cinesi… Il guadagno del tubo diminuisce sulle tensioni alte e aumenta in basso (si vede anche a occhio guardando le curve) rendendo la valvola estremamente assimetrica, in pushpull funziona perchè sovrapponi le 2 valvole ribaltate una con l’altra che produrranno una piccola distorsione di terza ma è palese che diventa un distorsore inaccettabile in single ended.

  • Ci sono diversi file spice in giro della KT88, dove hai trovato il file spice affidabile a cui fai riferimento? Grazie

  • Tu stai parlando di un pushpull, l’ultralinare nei pushpull va bene e non è un problema, anzi per le KT88 va meglio che a pentodo. Il problema dell’ultrlineare è se lo vuoi fare in single ended, in quel caso la valvola lavora con le 2 semionde fortemente assimmetriche. Per capire se un trasformatore è in corto bisognerebbe iniettare segnale sul suo primario e vedere se sul secondario esce pulito o con delle distorsioni, con un tester non lo puoi capire. Di certo però un trasformatore con un pezzo di avvolgimento in corto emetterebbe pernacchioni e non solo un leggero rumorino…

  • Buon giorno,

    come prima cosa La ringrazio per la spiegazione, ne faro’ tesoro.
    Ho una domanda, ho riparato un amplificatore in Kit di nuova Elettronica (LX1113).
    Monta 2 KT88 in configurazione Push-Pull ultralineare (grazie a lei ora so’ cosa significa).
    Dopo aver riportato in vita detto amplificatore, piste bruciate e resistenze di griglia schermo esplose, sostituite due ECC82, una KT88 ed effettuate le tarature della corrente di bias mi sono accorto che un canale aveva un leggero ronzio (16 mVpp), indagando ho scoperto che l’avvolgimentio dell’ultralineare di una sola KT88 (quella che era in cortocircuito fra catodo e griglia schermo) risulta con caratteristiche alterate (gli altri avvolgimenti sono perfetti ).
    L’amplificatore sembra funzionare ma non vorrei che questa condizione porti ad un nuovo disastro. Quali rischi si corrono a lasciarlo cosi’?
    Cosa mi consiglia di fare? e’ indispensabile la sostituzione del trasformatore di cui sopra?
    E’ la mia prima riparazione su un valvolare.

    Cordialmente
    Antonio

  • Come ho scritto sull’articolo a mio parere l’uso di ultralineare in configurazione SE non porta nessun vantaggio ma solo maggiore distorsione, basta che guardi le curve di esempio della KT88 sull’articolo, come puoi vedere è assimetrica,, la distanza tra le varie linee inizialmente è più larga che verso la fine, in SE non è lineare. L’UL è nato per essere usato nei pushpull dove diventa vantaggioso usarlo, se con la 6V6 triodo ottieni 3 watt con l’UL ne hai forse 3,2?! ma distorce molto di più! non ha senso, fallo andare a triodo, oppure se vuoi più potenza a pentodo. Poi fai quello che vuoi, ma io non lo farei. Posso segnalarti questo progetto https://www.sb-lab.eu/sb-varuna-phono-single-ended-6v6gt/ , di cui potrei rendere disponibile lo schema come premium, posso fornirti il set di trasformatori per realizzarlo o per realizzare quello che hai trovato su internet, ho visto lo schema è molto semplice e va bene per cominciare, oltre alla 12AU7/ecc82 potresti usare anche altre valvole simili e anche la poco conosciuta e snobbata ECC84 che è antesignana della ECC88, ha un mu di poco superiore alla ecc82 (24 invece di 22) ma la pendenza della curve è molto inferiore (ha una resistenza interna che è quasi la metà di quella della ECC82!), potrei anche suggerirti qualche modifica come ad esempio un feedback disattivabile o variabile così puoi sentire la differenza ad orecchio e formare una tua preferenza invece di dar solo credito ai soliti guru.

  • Ciao ho letto con interesse tutta la trattazione e siccome mi stò accingendo anche io alla costruzione di un single end (modesto in potenza e senza tante pretese essendo il mio primo…) con finali 2x 6V6 pilotate da 1/2 triodo ecc82 per canale, vorrei chiedere un parere.
    Lo schema che ho trovato in rete e che mi è piaciuto è realizzato con TU a presa intermedia. Cito il modello per chiarezza: 6V6 Marblewood.
    Dovendo approvvigionarmi dei 2 TU, mi domando se un TU ultralineare non è sufficiente, anche in considerazione del fatto che ho visto altri schema dove la tensione di graglia schermo viene prelevata dalla tensione anodica tramite una resistenza.
    Ringrazio e attendo un parere

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Nyx Aeterna – Single ended con 2A3, Il crepuscolo delle stelle, la voce dell’eternità

C’è un momento, nella vita delle stelle, in cui il bagliore della giovinezza lascia spazio a una luce più sottile, intensa e misteriosa. È il momento della nana bianca, un residuo immortale che continua a brillare nei secoli, custode silenziosa di una memoria stellare che non svanisce. È da questa immagine che nasce Nyx Aeterna, il mio nuovo amplificatore valvolare single ended, ispirato alla dea greca della notte – Nyx, oscura e maestosa – e al concetto di eternità – Aeterna, come la luce che ancora pulsa da un frammento d’universo ormai silente.

Nyx Aeterna è un tributo al suono puro, scolpito nella penombra, avvolto da armoniche naturali e privo di tempo. Un progetto senza compromessi: valvole 2A3 in configurazione single ended per soli 3,5 watt RMS di potenza, ma capaci di scolpire ogni dettaglio con grazia e fermezza. Il driver 6SL7, con il suo carattere caldo e rifinito, guida l’intero apparato come un’orchestra invisibile, mentre la raddrizzatrice a vuoto – 5U4G o 5X4G – si occupa di mantenere viva l’anima dell’amplificatore con una tensione che vibra come respiro antico.

Il suono? Setoso, avvolgente, crepuscolare. Ogni nota emerge con naturalezza, come se fluttuasse in uno spazio senza tempo, rivelando sfumature che amplificatori convenzionali si limitano solo a suggerire. Qui non si tratta di potenza bruta, ma di intimità, di verità musicale. È un’esperienza da ascoltare al buio, come si contempla il cielo stellato: in silenzio, con rispetto.

Origini di Nyx Aeterna – Da rottame dimenticato a creatura nuova

Nyx Aeterna nasce da ciò che molti definirebbero semplicemente “un vecchio ampli cinese” — uno dei tanti cloni del Single Ended Sun Audio SV2A3, come il Bowie SG-280SE o il Bowey 2A3C e altri simili, venduti in passato o ancora oggi sui vari bazar a pochi soldi e oggi dimenticati in soffitte polverose o cantine umide. Oggetti abbandonati, a volte danneggiati, con circuiti dozzinali e componentistica economica. Ma con un telaio che, volendo, può diventare la base per qualcosa di completamente diverso.

Secondo me, c’è solo un modo sensato di “modificare” questi amplificatori: ripartire da zero. Non parliamo di cambiare due resistenze o un paio di condensatori sperando in miracoli audiofili. Quando ci metto mano io, le modifiche sono così radicali che alla fine resta in piedi solo il guscio. È una ricostruzione totale, non un restyling.

E allora, ha senso comprare apposta un ampli del genere per poi ricostruirlo da capo? Probabilmente no, se lo si deve pagare. Ma se già lo si possiede, o lo si recupera a poco, riutilizzarne almeno il telaio e qualche parte meccanica può essere una scelta intelligente: il contenitore è già pronto, i fori sono fatti, i supporti valvole montati e questo, è un bel risparmio in termini di tempo e denaro.

Nyx Aeterna è nato proprio così: non da un upgrade, ma da un atto di rinascita tecnica. Non è un clone del Sun Audio, né una sua variazione sul tema. Il circuito è completamente nuovo, progettato da zero attorno a trasformatori di uscita e di alimentazione SB-LAB, scelti per valorizzare la timbrica delle valvole 2A3 e per garantire stabilità, silenzio e coerenza dinamica. Il cablaggio è stato rifatto interamente a mano, seguendo criteri costruttivi di alto livello, senza compromessi.

Quel che era nato come un amplificatore economico, è stato svuotato, ripulito, e riassemblato con un cuore e un’anima del tutto nuovi. E oggi, Nyx Aeterna racconta un’altra storia. La sua.

Smontare, sabbiare, rinascere

Il primo passo è stato quello più ovvio: smontare completamente l’amplificatore di partenza. Viti, fili, zoccoli, componenti… tutto rimosso fino ad avere tra le mani solo il telaio nudo, con ancora addosso i segni del tempo. La verniciatura lucida originale di questi apparecchi, come spesso capita, era fragile e segnata: graffi profondi, macchie indelebili, aloni opachi, e in alcuni punti persino accenni di ruggine che cominciavano a farsi largo da sotto la finitura. Il classico destino dei cloni cinesi dimenticati in qualche sottoscala umido.

Prima di procedere, ho praticato un paio di forature aggiuntive per adattare il layout del mio nuovo circuito. Poi, il telaio è stato sabbiato, così da ottenere una sverniciatura completa e soprattutto una superficie leggermente ruvida, ideale per offrire presa alla nuova verniciatura a polveri. Il risultato finale è una finitura nera effetto bucciato, molto più robusta, resistente ai graffi e dall’aspetto tecnico ed elegante al tempo stesso.

Alla fine, dell’amplificatore originale resta ben poco: il telaio, con i suoi caratteristici barattoli dei trasformatori, gli zoccoli, le boccole RCA, i morsetti banana per gli altoparlanti, qualche resistenza di potenza, la vaschetta VDE, la spia LED, le manopole frontali e poca minuteria interna. Tutto il resto è stato rimosso, sostituito, ripensato da zero.

Nelle foto seguenti si possono vedere i due trasformatori d’uscita SE2K5-2A3, progettati espressamente per l’impiego con valvole 2A3 in configurazione single ended, e il trasformatore di alimentazione 23S48, dimensionato per garantire stabilità e silenzio di fondo, per questo montaggio sono stati realizzati con frame di montaggio invece delle solite calotte. Una scelta funzionale, necessaria per poterli alloggiare all’interno delle scatole in lamierino originali del telaio cinese, senza rinunciare a robustezza e schermatura.

Accanto a essi, l’induttanza 18S5200, parte integrante del gruppo di alimentazione induttivo che assicura un filtraggio pulito e profondo. Tutto il kit di trasformatori – SE2K5-2A3, 23S48 e 18S5200 insieme allo schema elettrico completo, è disponibile come schema premium, per chi volesse replicare un progetto simile partendo da componenti selezionati e pensati appositamente per questa topologia.

Nel passaggio successivo, ho creato e montato una basetta in bachelite su cui sono stati installati tutti gli zoccoli, pronta ad accogliere il cablaggio punto-punto. Una soluzione ordinata, robusta e facilmente manutenibile. La basetta è stata assemblata assieme ai trasformatori e al telaio, segnando il punto di non ritorno: da quel momento Nyx Aeterna prendeva forma concreta.

Nella foto seguente si può vedere il cablaggio completo del circuito, eseguito rigorosamente a mano, con attenzione ai percorsi di massa, alle separazioni tra segnale e potenza, e all’estetica ordinata e funzionale. Ogni componente è stato scelto per affidabilità, caratteristiche elettriche e coerenza sonora, evitando mode eccessive ma anche le soluzioni economiche da catalogo.

Infine, il tocco personale: l’effige decorativa frontale. Ho inciso al laser un pezzetto di noce nazionale, ritagliato da un’asse antica di circa 80 anni, con una decorazione evocativa che richiama lo stile rococò e il mistero notturno del nome dell’apparecchio. Al centro, il nome Nyx Aeterna, accompagnato dal logo SB-LAB. Una firma, una dichiarazione d’identità. Un amplificatore non si giudica solo da come suona, ma anche da come racconta sé stesso, prima ancora che la musica cominci.

Misure strumentali – Dati concreti a supporto dell’ascolto

Nyx Aeterna non è solo suggestione estetica e timbrica: dietro la cura artigianale e l’eleganza del suono c’è un progetto tecnicamente solido, confermato da misure strumentali eseguite con strumentazione di laboratorio.

  • Potenza RMS indistorta: 3 watt
  • Potenza in clipping: 3,7 watt
  • Banda passante a -1 dB: da 18 Hz a 38 kHz, una risposta ampia e ben estesa, che restituisce corpo e dettaglio anche alle registrazioni più complesse
  • Fattore di smorzamento: 4,4 – un valore equilibrato, che garantisce un buon controllo dei carichi reattivi senza sacrificare musicalità
  • THD @ 1 watt: 1% – una distorsione armonica naturale e gradevole, perfettamente in linea con la filosofia dei single ended a triodo

A completare il quadro, le forme d’onda quadra a 100 Hz, 1 kHz e 10 kHz mostrano una risposta ben controllata e priva di eccessive risonanze o sfasamenti. Il comportamento del trasformatore d’uscita è stabile, privo di overshoot marcati, con transitori netti e simmetrici, indice dell’elevata qualità progettuale e costruttiva della sezione magnetica.

Nyx Aeterna – L’epilogo di un viaggio, l’inizio di un altro

Nelle immagini finali potete ammirare Nyx Aeterna nella sua forma compiuta: elegante, solido, rifinito nei dettagli. L’apparecchio è completo di marcatura CE, libretto di istruzioni, dichiarazione di conformità e garanzia di 2 anni, come ogni oggetto progettato e realizzato con criterio tecnico e responsabilità artigianale.

>>> Ma Nyx Aeterna non è solo un esemplare unico. È anche una possibilità. <<<

Se avete in casa uno di questi amplificatorini cinesi con la 2A3 magari dimenticato da anni, con la vernice segnata e un ronzio che non vi siete mai decisi a sistemare sappiate che può rinascere. Anche se spento, anche se non lo usate più. Affidatemelo, e diventerà qualcosa di completamente diverso: non un upgrade, non una modifica, ma una nuova creatura. Una Nyx Aeterna!

E se invece partite da zero o siete autocostruttori, sappiate che è disponibile il set completo di trasformatori progettati appositamente per questo circuito (alimentazione, uscita, induttanza), insieme allo schema premium e al supporto necessario per realizzare la vostra versione personale del progetto.

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1 Responses to Nyx Aeterna – Single ended con 2A3, Il crepuscolo delle stelle, la voce dell’eternità

  • Salve, sono Alessio e sono il proprietario dell’ ampli integrato con 2A3 poi trasformato in finale, bè che dire, quando l’ho acceso mi si è staccata la mascella, ho subito notato un buon incremento di potenza, che con casse da 91 db come le mie si riesce ad ottenere un buona sonorizzazione, altra cosa che salta alle orecchie è la notevole estensione della risposta in frequenza i bassi sono magicamente comparsi, molto molto belli e profondi, anche la dinamica è aumentata, la grana e la trasparenza sono diventate ai massimi livelli, nulla a che vedere con l’apparecchio che era in origine.
    Bravo Stefano, veramente un risultato degno di nota, non tarderò a “sfruttare” le ottime capacita di Stefano Bianchini per altri apparecchi.
    Alessio Lodesani

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